L'inizio della coltivazione della lignite
In pieno Risorgimento Cavriglia iniziò a vivere un momento importantissimo sotto il profilo dello sviluppo economico e sociale che avrebbe sconvolto il suo futuro per i successivi centocinquanta anni.
Nella valle d'Avane infatti, cominciò, nel 1860, la coltivazione della lignite. Quest’ultima ha un’origine di milioni e milioni di anni. I banchi, presenti in milioni di tonnellate, avrebbero reso questo giacimento il più grande d'Italia e uno dei più importanti d’Europa. Sono costituiti da tronchi, rami, foglie e frutti carbonizzati di piante vissute tre milioni di anni prima. Sopra la lignite si trovano argille stratificate molto spesse, che nel passato geologico sono state cotte in più punti dagli incendi spontanei della lignite e trasformate in laterizio naturale, la terra rossa.
La presenza di lignite in questa zona è stata da sempre segnalata da pennacchi di fumo azzurrino e maleodorante che si sprigionavano da fuochi sotterranei al contatto tra i terreni lacustri e il versante dei monti del Chianti, in cui parti di banchi di lignite fuoriuscivano incendiandosi al contatto con l'ossigeno. Quando quei terreni cominciarono a essere coltivati, i contadini iniziarono a imbattersi nel materiale affiorante, facilmente distinguibile in superficie in ampie zone nere in mezzo a terra marrone e grigia.
Fra il 1500 e il 1700 la lignite divenne oggetto di curiosità da parte degli studiosi, ma fu solo verso la seconda metà del XVII secolo che si cominciò a pensare a questo minerale come combustibile per attività industriali, che tuttavia sarebbero state avviate verso la fine dell'Ottocento. Si trattava di sfruttare un carbone di colore da giallastro a bruno dov'era ancora evidente la tessitura del legno (xiloide), a un basso potere calorifico.
Nei registri dell'archivio storico del Comune si cominciò a parlare di lignite solo a partire dal 1825 quando, nella seduta consiliare del 18 febbraio, fu portata a conoscenza dei Consiglieri una lettera del Ministero relativa all'accensione spontanea di fuochi sotterranei nei banchi di lignite. Poi, intorno al 1860, fu avviata una coltivazione del minerale nelle zone di affioramento in piccole cave a cielo aperto, con produzioni molto modeste. Ma dato che il banco affiorante era molto inclinato (fino all'80%) e scompariva rapidamente sotto terra, per seguirlo si avviò, nel 1875, la coltivazione in sotterraneo con un sistema di gallerie – spinte fino a 120 metri di profondità – che rapidamente sarebbe divenuto il più importante e si sarebbe protratto fino al 1955.
Le gallerie della miniera
La lavorazione in sotterraneo del giacimento era molto complessa e rischiosa e richiedeva una precisa organizzazione del lavoro sia all'interno che all'esterno. Il banco veniva attaccato in più punti su un’estensione complessiva di vari chilometri quadrati, attivando così varie miniere. Il minerale veniva abbattuto in camere di abbattimento a pianta quadrata di 4x4 metri con l’uso di un esplosivo detto foco. All’interno la lignite veniva movimentata con vagoncini (chiatte) su rotaie trainate da cavalli da tiro attraverso gallerie armate in legno; i vagoncini venivano portati in superficie trainandoli con un argano elettrico (troille) lungo piani inclinati (discenderie). In superficie il legno era smistato su vagoncini trainati da macchine a vapore o da locomotive a batteria e in alcuni tratti anche la teleferica che raggiungeva la Stazione di San Giovanni. Prima della commercializzazione, i pezzi di maggior dimensione erano accatastati in stive sugli ampi piazzali, all’aperto e nei capannoni, per ridurne l'umidità. L'acqua veniva allontanata dalle gallerie con un sistema di pompe e il ricambio dell'aria avveniva per mezzo di impianti di ventilazione.